28 maggio 1989, una data che resterà scolpita nella memoria del glorioso A. S. Siracusa targato Pippo Imbesi. Corsi e ricorsi storici, ci inseguiva la Cavese: terz'ultima giornata, Siracusa 40, Cavese 37 (la vittoria valeva 2 punti). All'epoca ero un ragazzino di dodici anni, ma seguivo già da qualche anno, assieme a mio padre, le sorti dei Leoncelli.
Il Siracusa andò ad Afragola, trasferta rognosissima, campo difficile. Partita tirata, spigolosa, fallosa. Naturalmente gli aquilotti cavesi, speravano molto nell’Afragolese, così da poter accorciare in classifica e giocarsi tutto nello scontro diretto casalingo dell’ultima giornata, proprio contro il Siracusa. La partita venne risolta soltanto al minuto 91, da una punizione di Pasquale Marino, che regalò così, il match ball promozione, la settimana successiva al de Simone contro i romani della Lodigiani. Come dicevo, ero ancora un ragazzino, ma l'attesa per quella gara con la Lodigiani, la sentivo crescere tantissimo.
Lunghe file ai botteghini, riuscimmo ad avere due biglietti per la gradinata dopo una coda interminabile.
Il De Simone era stracolmo! Ancora oggi non si sa il numero vero dei presenti. Avevo un po' di timore, eravamo in troppi in quel settore e mio padre di tanto in tanto mi bagnava la testa con un po' d'acqua, dato il forte caldo. Le squadre entrarono in campo, cominciarono a suonare le trombette, coriandoli e fumogeni ovunque. Dopo la coppa del 1979, un'altra finale da vincere!
Siracusa sulle gambe, tensione alle stelle… non ci riusciva nulla. Un lancio lungo da parte dei romani, si trasformò in assist per Romualdi, scattato sul filo del fuorigioco: l'attaccante romano fu velocissimo e trafisse Torchia con un pregevole lob.
Sul De Simone calò il gelo. Si ricominciò ad incitare la squadra, la curva non si fermò un attimo, cori assordanti, ma nulla, il Siracusa sembrava imbambolato e il primo tempo finì 0-1!
Qualche mugugno tra primo e secondo tempo, la Lodigiani, nonostante non avesse più obiettivi da inseguire, si stava impegnando alla morte.
Un boato accolse gli azzurri al rientro in campo. L'inizio della ripresa fu più deciso. Il caldo e la calca mi soffocavano, c'erano delle zone del campo che non riuscivo a vedere per via della marea di tifosi in gradinata, forse anche oltre la capienza ufficiale.
I Leoncelli iniziarono con un piglio più deciso, guardavo continuamente l'orologio, ma i romani erano chiusi nei loro trenta metri e spazzavano via palloni a volontà, senza lasciare spazi nei pressi della loro area.
Guardavo mio padre, in cerca di rassicurazioni, vedevo visi preoccupati, tirati. Era il sessantesimo e non era successo ancora nulla. Cuccunato, il loro estremo difensore, dominava la sua area, usciva di pugni, rinviava lontano, arringava la sua difesa. Figliomeni, cercava di tessere la nostra ragnatela, stavo più tranquillo quando manovrava lui.
Poi, all’improvviso, un tiro di Marino che sembrava innocuo, arrivò a rasoterra alla destra di Cuccunato, sotto la mitica sud. Un attimo di indecisione, tra un rimbalzo irregolare ed un altro, e Cuccunato respinse lateralmente il pallone, malamente. Un attimo di silenzio, di attesa: il pallone finì nei pressi di Ciccio Pannitteri che come un falco appoggiò con un tap-in il pallone che terminò la sua corsa in rete. Boato. Tutta Siracusa spinse quella palla alle spalle di Cuccunato. Non ho più sentito qualcosa del genere. Persi di vista mio padre, arrivando 4-5 gradini sotto, abbracciandomi con persone che non conoscevo.
Ritrovai papà, quasi in lacrime e partì il coro SIRACUSA-SIRACUSA! Si udiva la mitica campanella rintonare dalla tribuna, che dava l'ennesima carica agli azzurri. Ormai era assalto all’arma bianca, la Lodigiani non usciva più. Affiorava la stanchezza anche per loro. Non passò molto... forse cinque o sei minuti. Per me furono un'eternità... Ma arrivò il secondo boato.
Un cross teso di Sergio Salice, permise l'inserimento di Marino che si scontrò con Cuccunato in uscita. La palla schizzò verso l'ariete Mezzini che incornò a porta vuota. Delirio. Bolgia. Tripudio. Stavolta persi mio padre fino a fine gara. Provavo brividi, finalmente, dopo una stagione tirata vedevamo il traguardo. C'era fierezza di essere siracusani. Tanta passione, tanti sorrisi. Stavamo tornando in C1.
Il presidente Imbesi si nascondeva dietro la panchina, circondato dai suoi fidati. Il Siracusa era spinto da cori continui, il pallino del gioco era azzurro, ma non guardavamo più la partita, si festeggiava, ci si abbracciava con chiunque. Spazi angusti, non ero più in me, volevo non finisse più. Soffocavo. Mancavano, credo, una decina di minuti... Il Siracusa metteva ancora palloni in mezzo e da un calcio d'angolo, la difesa rocciosissima dei romani, respinse l'ennesimo pallone fuori area. In quei minuti di gara guardavo ogni settore in festa, la tribuna, la curva sud festante, impegnata a saltare tutti assieme, a tempo.
Tornai con lo sguardo verso il campo, ennesima respinta della difesa capitolina, la palla uscì fuori area nei pressi dell’esperto Renzo Martin. Sentii un suono: tump! Il classico suono dell’impatto tra pallone e scarpetta di cuoio. La palla si alzò e andò verso la porta di Cuccunato, ma la traiettoria sembrò troppo alta. Sul momento non gli avevo attribuito pericolosità. Non vidi più nulla, ma arrivò soltanto un boato, il terzo, quello che mi portò al delirio totale. Al pianto di gioia. Ritrovai mio padre, lo abbracciai, mi strinse.
Poi, immagini di giubileo in campo, il presidente portato in trionfo, le bandiere e il nome della nostra città gridato a squarciagola. Ricordo un corso Gelone in festa, caroselli che non rivedremo più, auto d'epoca, camion, clacson.
Finalmente la C1.
Fu l'ultima vera festa di quel Siracusa.
Una festa figlia di quei tempi. Tempi di passione, di un calcio che difficilmente riavremo.
Il calcio della gente.